Del perché quella del #fertilityday sarebbe potuta essere una buona iniziativa In evidenza
Slogan del tipo: “La fertilità è un bene comune” come se le mie ovaie dovessero davvero essere censite al Ministero. O ancora “Genitori giovani, il miglior modo per essere creativi” come se i giovani di oggi, precari e senza certezze potessero davvero pensarci a fare un figlio. Eh sì, i figli non sono solo una questione economica, ma se sono giovane magari ad un figlio io nemmeno ci penso perché ora voglio divertirmi. O studiare e costruirmi un futuro. O comunque pensare alle ovaie mie.
C’è poi la questione de “La costituzione tutela la procreazione cosciente e responsabile” che fa pensare che figli come Pit nati senza averci pensato troppo o quelli nati da uno stupro o da una relazione “di passaggio” debbano essere “esposti” che è una cosa che succedeva se non erro in Antica Grecia. Mi sbaglio? No, non mi sbaglio.
Una campagna di comunicazione voluta dal Ministro della Salute che recita (testualmente) “La bellezza non ha età. La fertilità sì” che è qualcosa di talmente brutto e privo di umanità che a me vengono i brividi solo a scriverlo. Perché, mi spiace, ma non credo che le donne abbiamo bisogno di questa genialata per ricordarsi che forse il tempo per un figlio loro non ce l’hanno più. Perché hanno incontrato tardi l’uomo giusto o per qualche patologia che le rende sterili. Sì, perché la sterilità esiste e non è una colpa.
Una campagna che mi fa incavolare tantissimo soprattutto perché sarebbe potuta essere una buona iniziativa se fatta nel modo giusto. Perché il nostro Paese ha bisogno di informazione scientifica, educazione alla sessualità, politiche sociali e welfare. Ha bisogno della maternità assicurata a tutte le lavoratrici, del congedo di paternità obbligatorio e di flessibilità. Ha bisogno di nidi aziendali e di assegni per le babysitter. Ecco di cosa ha bisogno il nostro Paese.
Ecco di cosa potremmo parlare, tanto per cominciare, il 22 settembre al #fertilityday, mio caro ministro.