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L'editoriale n.126

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Benvenuti nell'era in cui i bambini si occupano di cambiamenti climatici e i politici di merendine

Continua l'emorragia di attività che chiudono i battenti e abbandonano il centro storico di Perugia. Roba che di questo passo più che un’acropoli sarà presto una necropoli.

E a proposito di passi, quale dovrebbe essere il primo passo per ridare ossigeno a un centro agonizzante? Quello di far tornare i residenti. Riportare la gente a viverci per farlo vivere a oggi è l'unica possibile strategia sul medio termine.

Per farlo occorrono politiche mirate, magari capaci di incentivare l’acquisto o l’affitto di immobili in centro da parte delle giovani coppie e non solo. Ma soprattutto serve un cambio di mentalità. Come si può pensare di riportare le famiglie a vivere nell'Acropoli se solo per fare un’ascensore in un palazzo d’epoca, oggi (alle porte dell'anno del Signore 2020), bisogna prima indire una guerra santa contro condomini con una visione ferma all’era di edificazione dello stabile e poi scontrarsi contro i vincoli della Soprintendenza come un pesce rosso contro il vetro di un acquario?

Come può un centro storico guardare al futuro se la burocrazia e i burocrati sono prigionieri del passato? Come si può non comprendere che la sacralità della storia non può non tenere conto della contemporaneità e del tempo che passa? Se vogliamo trasformare le nostre acropoli in musei a cielo aperto allora accomodatevi, ma se vogliamo farle vivere dobbiamo renderle vivibili, in primis da chi ci abita.

Il che non significa sfregiare il nostro patrimonio artistico senza ritegno, ma semplicemente farlo vivere in armonia con le esigenze del presente. Ci sono tante città europee ricche di storia che hanno saputo fare di questa contaminazione fra architettura contemporanea e patrimonio artistico il proprio punto di forza. Da noi stiamo ancora discutendo se i “dehors sì o i dehors no” ché altrimenti la Soprintendenza s'incazza, quando basta fare un giro a Parigi e Vienna per capire come queste implementazioni non solo non feriscono le città, ma le arricchiscono diventando opportunità di fruizione per 360 giorni all'anno.

Una guerra contro i mulini a vento. Un po' come quella che sta conducendo chi organizza i grandi eventi musicali a Perugia contro chi vorrebbe destinare il Palabarton esclusivamente alla pallavolo. Lo sport è importante e fonte d'orgoglio, ma in una città come Perugia pensare di monopolizzare un palazzetto nel nome della pallavolo è una forma d'arroganza inaccettabile. Ci sono città, come Firenze, che questo dilemma lo hanno risolto benissimo senza mettere in competizione sport e cultura. Ed è una visione di cui prima o poi dovranno prendere atto anche i signori Sirci e Bartoccini.

L'editoriale n.126
   
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Matteo Grandi

A due anni leggeva Proust, parlava perfettamente l'inglese, capiva il francese, citava il latino e sapeva calcolare a mente la radice quadrata di numeri a quattro cifre. Andava al cinema, seppur accompagnato dai genitori, suonava il pianoforte, viaggiava in aereo, scriveva poesie e aveva una fitta corrispondenza epistolare con l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. A sei anni ha battuto la testa cadendo dagli sci. Del bambino prodigio che fu restano l'amore per il cinema, per la scrittura e per le feste natalizie. I segni del tracollo sono invece palesati da un'inutile laurea in legge, da un handicap sociale che lo porta a chiudersi in casa e annullare appuntamenti di qualsiasi genere ogni volta che gioca il Milan e da una serie di contraddizioni croniche la più evidente delle quali è quella di definirsi "di sinistra" sui temi sociali e "di destra" su quelli economici e finanziari. A trent'anni ha battuto di nuovo la testa e ha fondato Piacere. Gli piacerebbe essere considerato un edonista; ma il fatto che sia stata la sofferenza (nel senso di botta in testa) a generare il Piacere (nel senso di magazine) fa di lui un banalissimo masochista.