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Francesco Renga, l'altra metà di un percorso straordinario

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In occasione della sua ospitata a Radio Subasio abbiamo incontrato l’artista per parlare del suo ultimo album “L’Altra Metà”
Testo: Matteo Grandi
Foto: Toni Thorimbert
Brano: “Prima o poi” - Francesco Renga


Francesco Renga è uno di quegli artisti che non ha bisogno di presentazioni. La sua è una voce che non ha uguali nel panorama italiano. Una voce che da sempre viaggia su altezze e intensità inusitate e poco frequentate. Pop, melodia, rock, intrise di tensione espressiva sono la cifra che scandisce la sua musica, chiudendo il cerchio di un percorso ventennale che lo ha visto debuttare come frontman di uno dei più influenti gruppi rock italiani degli anni ’90, i Timoria, per poi proseguire da solo alla ricerca di una propria strada sul finire degli anni ’90, pubblicando cinque album che hanno segnato altrettante fasi della sua carriera in perenne crescita artistica.



I suoi successi non si contano, ma vale la pena ricordarne qualcuno fra quelli che hanno fatto la storia recente della musica leggera italiana: da “Raccontami” (premio della critica a Sanremo 2001) a “La tua bellezza” (Sanremo 2012) passando per “Angelo” (brano vincitore del Festival di Sanremo 2005), fino a brani come “Ci sarai”, “Cambio direzione”, “Favole”, “Vivendo Adesso”, “Il mio giorno più bello nel mondo”. Fra dischi di platino, dischi d’oro e milioni di visualizzazioni su youtube il cantante bresciano però ha sempre avuto il coraggio e la lucidità di rinnovarsi. Un percorso ogni volta più attuale che ha scandito una vera e propria svolta artistica: iniziata nel 2014 con l’album “Tempo Reale” e sublimata quest’anno con l’uscita recente (19 aprile) del nuovo album “L’Altra Metà”. Ne emerge un Francesco Renga sempre più al passo con i canoni della musica contemporanea capace di cambiare pelle senza perdere la propria identità: una scommessa vinta in tutto e per tutto. Lo abbiamo incontrato in occasione di una sua visita umbra, quando si è affacciato nel cuore verde d’Italia per registrare un live a Radio Subasio. E ci siamo fatti raccontare da lui un po’ di sé e un po’ di questa importante fase della sua carriera.



Francesco, partiamo dal titolo di questo nuovo disco... perché L’Altra Metà?
Forse perché a 50 anni senti di vivere un secondo tempo della tua esistenza, una nuova metà che ti aiuta anche a vedere le cose con uno sguardo diverso e a tirare fuori da te qualcosa di più intimo e più profondo. Io ho sempre vissuto il mio lavoro con una dedizione assoluta, ho detto spesso che per me cantare è anche un modo per trovare un posto nel mondo che mi faccia sentire adeguato. Ma non puoi pensare di fare questa professione per più di 30 anni restando sempre uguale a te stesso. Ecco, L’Altra Metà è anche la faccia della medaglia che racconta il mio modo di evolvermi, la voglia di non cullarmi sugli allori e di non crogiolarmi nel porto sicuro della voce, ma di alzare l’asticella. Di guardare con occhi sempre attenti e curiosi il mondo che mi circonda, per capire anche da che parte va la musica. E per intercettare, attraverso il mio modo di interpretare le cose, il nuovo.


Questo approccio si riflette anche nella genesi del tuo disco: 12 brani prodotti da Michele Canova con un linguaggio molto attuale e che contempla le collaborazioni di molti autori giovani e apprezzati della scena come Ultimo, Gazzelle, Danti, Colapesce, il Paolo Antonacci, il figlio di Biagio, Bungaro, Fortunato Zampaglione e numerosi altri...
Sentivo la necessità di trovare un linguaggio giusto per raccontarmi, per arrivare anche ai miei figli. Avevo chiaro l’obiettivo, ma sapevo che era importante rimettermi in gioco senza perdere credibilità e identità. E, anche grazie alla collaborazione con Michele Canova e con questi giovani autori, credo di esserci riuscito.





Presentando questo nuovo lavoro hai parlato di urgenza espressiva...

Sì, perché, per quanto tu possa essere lucido e sapere dove vuoi arrivare, il percorso artistico è spesso imprevedibile, oserei dire addirittura inconsapevole per certi aspetti. Questo progetto, i contenuti che lo compongono hanno preso forma quasi misteriosamente. Mi sono reso conto che avevo bisogno di dire delle cose dopo averle espresse. Quando hai questa necessità succede che magari tu non ne conosci ancora le motivazioni, che il linguaggio ti suoni a tratti estraneo, ma tutto accade inesorabilmente perché frutto di un’urgenza che non sapevi nemmeno di avere.


E a quel punto che cosa succede?

Ti ritrovi a parlare di cose che sono uscite dalla tua bocca prima ancora che decidessi di aprirla, prima che te ne rendessi conto, improvvisamente, come un urlo che non puoi controllare.


In qualche modo è un mettersi a nudo di fronte al proprio pubblico...
È esattamente così: devi fare i conti con cose che ti appartenevano, che magari hai cercato persino di reprimere o di negare ma che si muovevano dentro di te. Che magari tu stesso non hai ancora davvero compreso e che improvvisamente si trovano alla mercé di tutti. E, così, tu che le credevi protette nella tua fortezza inespugnabile le devi condividere con gli altri. Per questo parlo di urgenza. Perché si tratta di un impulso sul quale non puoi pretendere di avere il controllo. Ma forse la magia dell’arte sta proprio in questo. 

 


I prossimi appuntamenti sono due veri e propri eventi: il live all’Arena di Verona del 27 maggio e quello al Teatro Antico di Taormina il 13 giugno. Due cornici mozzafiato per il ritorno sulle scene, e per presentare al pubblico per la prima volta dal vivo il nuovo progetto.







I primi singoli dell’album hanno subito definito questa nuova cifra espressiva. Da “Aspetto che torni” pezzo presentato a Sanremo sulla perdita della mamma quando Francesco era ragazzo, a “L’Odore del Caffé” scritto insieme a Ultimo.


Nella tracklist del disco si coglie nitida l’impronta di un percorso. Se “Aspetto che Torni” rappresenta il trait d’union con il Francesco di prima, gli altri brani sono la naturale evoluzione di questa strada...
In effetti è così. A Sanremo sarei potuto andare soltanto con quel pezzo. Ma nel disco ho cercato di proporre in modo coerente la nuova dimensione del mio lavoro. E posso garantirti che ogni pezzo di questo disco, dal mio punto di vista, è un potenziale singolo.


Nel frattempo il pubblico sembra gradire. Non solo il dato delle vendite che stanno andando benissimo, ma sono andati alla grande anche gli instore in giro per l’Italia con dei bagni di folla ovunque. E il bello deve an
cora venire con i primi live...
Sono molto contento per la risposta della gente. Probabilmente questo lavoro è stato capito, recepito e apprezzato e non posso che esserne felice. Girare l’Italia, sentire l’abbraccio, quello vero fisico e non metaforico, delle persone che sono venute agli instore mi ha dato una carica incredibile. Ma adesso mi sto preparando a tornare nel luogo dove mi sento davvero a casa: il palcoscenico. È una dimensione di cui ho bisogno. E lo farò con due live che hanno il sapore dell’evento, non solo perché potrò presentare per la prima volta dal vivo al mio pubblico il nuovo progetto, ma anche perché si terranno in due veri e propri templi della musica: all’Arena di Verona il 27 maggio e al Teatro Antico di Taormina il 13 giugno. Non sto davvero nella pelle. 


Di fatto sarà un vero e proprio ritorno sulle scene per te dopo la parentesi dell’anno scorso: il tour insieme a Max Pezzali e Nek...
Esatto. Un nuovo inizio. Il tour dell’anno scorso è stato bellissimo e divertente anche per l’amicizia e il feeling che si è creato com Max e Nek. Si è trattato di una dimensione nuova che ha portato a tutti e tre grandi soddisfazioni e un’esperienza diversa e stimolante. Ora, però, è arrivato il momento di tornare sulla mia strada. E questo mi carica di responsabilità e al tempo stesso mi riempie d’emozione. 





E i prossimi progetti?
Ad autunno partirà un tour all’interno dei teatri. Era un altro progetto a cui tenevo moltissimo anche perché la dimensione teatrale mi ha sempre affascinato e il rapporto che si riesce a creare con il pubblico in un contesto simile è impareggiabile. Poi nel 2020 partirà un tour europeo a maggio: cinque date a Zurigo, Bruxelles, Londra e Madrid.


Un’ultima domanda. Perché hai scelto questo mestiere? Perché non ho un altro modo per stare al mondo... non c’è, e non lo conosco. La musica, le parole, la mia voce sono gli unici strumenti che ho a disposizione per non tradire la mia anima. 

 

Francesco Renga, l'altra metà di un percorso straordinario
   
Matteo Grandi

A due anni leggeva Proust, parlava perfettamente l'inglese, capiva il francese, citava il latino e sapeva calcolare a mente la radice quadrata di numeri a quattro cifre. Andava al cinema, seppur accompagnato dai genitori, suonava il pianoforte, viaggiava in aereo, scriveva poesie e aveva una fitta corrispondenza epistolare con l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. A sei anni ha battuto la testa cadendo dagli sci. Del bambino prodigio che fu restano l'amore per il cinema, per la scrittura e per le feste natalizie. I segni del tracollo sono invece palesati da un'inutile laurea in legge, da un handicap sociale che lo porta a chiudersi in casa e annullare appuntamenti di qualsiasi genere ogni volta che gioca il Milan e da una serie di contraddizioni croniche la più evidente delle quali è quella di definirsi "di sinistra" sui temi sociali e "di destra" su quelli economici e finanziari. A trent'anni ha battuto di nuovo la testa e ha fondato Piacere. Gli piacerebbe essere considerato un edonista; ma il fatto che sia stata la sofferenza (nel senso di botta in testa) a generare il Piacere (nel senso di magazine) fa di lui un banalissimo masochista.