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Il collezionista di stelle In evidenza

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Andrea Soldani: “la mia Bussola al cinema”

Il regista trapiantato in Umbria ci ha raccontato la sua ultima fatica, un omaggio al celebre locale versiliano e al suo fondatore Sergio Bernardini

In un numero dedicato alle stelle non poteva mancare un’intervista ad Andrea Soldani, regista trapiantato in Umbria in uscita proprio in questi giorno con il suo ultimo documentario “La Bussola – Il collezionista di Stelle”. Un’opera accurata, prodotta da Lux e Rai Cinema, che racconta Sergio Bernardini e il celebre locale sulla costa versiliana che ha scandito le notti, la musica, la storia e l’immaginario collettivo dell’Italia del dopoguerra, in particolare a cavallo fra gli anni ’60 e ’70. Soldani, che in Umbria è anche direttore artistico del Gecko Fest di Spina, sarà a Perugia per l’anteprima del film a metà febbraio.




Come nasce l’idea del documentario?
Gli step e le date significative sono essenzialmente due. Nel 1995 vengo chiamato da Gianni Minà per fare una serata commemorativa del Premio Sergio Bernardini insieme al figlio Mario Bernardini, chiedendomi di fare la regia. In quell’occasioni strinsi una bella amicizia con Mario anche perché eravamo entrambi convinti che la storia di Sergio era una storia così incredibile che andava assolutamente raccontata e proviamo scriverci un progetto. Lo portai in giro per un po’, a parole piaceva a tutti, ma poi, come spesso accade non se ne fece nulla.


Poi cosa succede?
Succede che nel 2022, quasi 25 anni dopo, ritiro fuori il progetto dal cassetto e lo presento alla casa di produzione Lux. Il progetto ancora una volta piace molto ma questa volta si fa. Per me una soddisfazione doppia anche perché alla Bussola sono legato da dei ricordi personali. A metà degli anni ’60, infatti, i miei avevano una casa al mare che affittavano d’estate proprio a 500 metri dalla Bussola. E io passavo le estati là con mia nonna e il pomeriggio andava alla Bussola per intrufolarmi alle prove dei cantanti, per vedere gente del calibro di Mina e Celentano...

E così parte il racconto di un locale e del suo fondatore, che sono anche stati un pezzo di storia del nostro Paese...
Sì, ed è quello che abbiamo cercato di raccontare con gli autori. Uno è proprio Mario Bernardini; gli altri sono Simone De Rita e Giuseppe Scarpa. Abbiamo cercato di lavorare su doversi livelli: la Bussola, Sergio Bernardini, l’epoca a cavallo fra gli anni ‘60 e gli anni ’80, la Versilia e la musica.

 
Versilia che in quel periodo si intreccia con la storia d’Italia, culturale e non solo...
È stato lo specchio di un paese che usciva dalla guerra con il boom economico, ma anche con la contestazione del ‘68 che ebbe come bersagli proprio la Bussola e la Scala di Milano. Nel documentario ho cercato di raccontarlo perché da qua è veramente transitata la storia della musica, dello spettacolo, ma anche del costume di quell’Italia.


 
Da regista che cosa hai cercato di trasmettere?
Se parliamo di messaggio ci sono le ultime parole che ho messo in bocca alla speaker radiofonica che fa da narratrice dell’intero racconto che suonano più o meno così: è stato è stato molto bello stanotte raccontare questa storia perché forse all’ascolto c’è ancora qualcuno che aspetta soltanto una scintilla. Di base quelli sono statu anni irripetibili e ho cercato di centrare il racconto sul locale e sul periodo, Sergio Bernardini lo faccio vedere soltanto alla fine dei titoli di coda. Ho fatto una scelta precisa in segno di rispetto: lui si definiva un bottegaio dello spettacolo, amava stare dietro le quinte e mettere gli artisti nelle condizioni migliori per potersi esibire. Inoltre, li pagava molto di più di quanto pagavano gli altri, per cui erano tutti molto felici di lavorare con Sergio.


Qual è il tuo legame con l’Umbria?
L’ho scelta come casa e mi piace vivere qua. Da qualche anno ho poi il piacere di avere la direzione artistica del Gecko Fest di Spina. Non a caso sarò a Perugia a presentare il documentario.

 

 

 

Pubblicato in PM TopNews
Matteo Grandi

A due anni leggeva Proust, parlava perfettamente l'inglese, capiva il francese, citava il latino e sapeva calcolare a mente la radice quadrata di numeri a quattro cifre. Andava al cinema, seppur accompagnato dai genitori, suonava il pianoforte, viaggiava in aereo, scriveva poesie e aveva una fitta corrispondenza epistolare con l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. A sei anni ha battuto la testa cadendo dagli sci. Del bambino prodigio che fu restano l'amore per il cinema, per la scrittura e per le feste natalizie. I segni del tracollo sono invece palesati da un'inutile laurea in legge, da un handicap sociale che lo porta a chiudersi in casa e annullare appuntamenti di qualsiasi genere ogni volta che gioca il Milan e da una serie di contraddizioni croniche la più evidente delle quali è quella di definirsi "di sinistra" sui temi sociali e "di destra" su quelli economici e finanziari. A trent'anni ha battuto di nuovo la testa e ha fondato Piacere. Gli piacerebbe essere considerato un edonista; ma il fatto che sia stata la sofferenza (nel senso di botta in testa) a generare il Piacere (nel senso di magazine) fa di lui un banalissimo masochista.