Uso dei cookie

Questo sito non fa uso di cookie per la profilazione in prima persona.
Questo sito fa però uso di cookie tecnici. Questo sito utilizza inoltre embed di codice e servizi esterni. Nell'informativa estesa sono disponibili i link alle terze parti ove negare i cookies dei terzi che possono profilare se attivati dall'utente sul sito del terzo.
Procedendo nella navigazione o cliccando su "Accetto" si acconsente all'uso dei cookie.


Policy Accetto

A+ A- T+ T-

La favola di Colapesce In evidenza

Scritto da 
0
||
A tu per tu con il cantautore siciliano che insieme ad Antonio Di Martino si è fatto conoscere dal grande pubblico con “Musica Leggerissima”, pezzo rivelazione del Festival di Sanremo 2021

Testo: Matteo Grandi
Brano: Cicale - Colapesce, DiMartino

Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, è un cantautore ricco di sfumature e con un grande talento. La sua capacità di scrittura era già apprezzata da una nicchia di pubblico fidelizzata e sempre più numerosa, quella che in gergo si definisce la fanbase. Poi è arrivato Sanremo ed è cambiato tutto. Da marzo la popolarità è esplosa in faccia a questo straordinario artista che ora si ritrova a fare i conti con una dimensione nuova e avvolgente, appagante ma a tratti anche faticosa da gestire se non sei abituato a fare i conti con le vertigini. Ma forse, il vantaggio di arrivare alla popolarità dopo una gavetta importante, è anche questo: saper pesare i momenti, e saper restare con i piedi ben ancorati a terra. Lorenzo, da buon siciliano acuto e sornione, sa che la gloria può essere effimera. Così, pur essendo consapevole del momento d’oro e della forza di un pezzo che gli ha, almeno per adesso, cambiato la vita come “Musica Leggerissima”, scritta e presentata insieme al suo amico, cantautore e collega Antonio Di Martino, Colapesce pondera parole e progetti con pragmatica saggezza. Anche pensando al futuro.

Lorenzo come stai vivendo questo momento?
Con gioia. Per come è andata a Sanremo per la popolarità che il brano ha portato, per l’enorme diffusione che “Musica Leggerissima” ha avuto, per noi assolutamente inaspettata perché, non pensavo minimamente che questo pezzo potesse arrivare ad esempio ai bambini... la ricaduta è stata incredibilmente trasversale.





In effetti è un pezzo che ha tanti livelli di lettura.

È vero e ne eravamo consapevoli ma non pensavamo che potesse diventare un megafono così enorme... una canzone che oggi è veramente cantata da anziani, adolescenti, bimbi... da tutti praticamente. Pensa che qualche giorno fa ci è arrivata la richiesta da un carcere minorile per andare a eseguire il pezzo. Evidentemente siamo riusciti ad arrivare a un pubblico trasversale. Questi diversi livelli di lettura, in qualche modo, hanno messo d’accordo un po’ tutti, cosa per noi inaspettata.

E sull’esperienza sanremese in generale che aspettative avevate?
Sapevamo che molto probabilmente sarebbe cambiato qualcosa con Sanremo, ma non pensavamo così, anche perché molti gruppi, anche alternativi, che hanno fatto Sanremo, non hanno avuto un ritorno così evidente e immediato. Osservando anche esperienze simili alla nostra, non immaginavamo un feedback del genere; e invece ci siamo ritrovati in una condizione di visibilità estrema a cui non avevamo pensato.

“Musica leggerissima” è anche un po’ figlia del momento che abbiamo vissuto o era qualcosa che avevate in mente a prescindere?
Non voleva essere una canzone sulla pandemia o sul nostro momento in particolare. Sicuramente è stata influenzata dal contesto perché è stata scritta in quel periodo, però non parla strettamente di quello che abbiamo vissuto negli ultimi mesi; di base è più un brano sulla depressione. Parla di quei momenti bui dell’essere umano, che prova a contrastare con qualsiasi mezzo, tra cui la musica.

Sui social nei giorni di Sanremo avete tenuto anche una cifra molto divertente. Come gli appelli ai big del pianeta per il televoto... sono state trovate estemporanee o vi eravate preparati?
È stato tutto estemporaneo; il televoto ci metteva un’ansia incredibile... così mi sono detto “quasi quasi faccio un post e taggo Chiara Ferragni e vediamo”. Gli altri mi hanno detto: “vabbè, che cazzo stai dicendo?”, e ho detto: “vabbè, boh proviamo, comunque è una cazzata, anche se non porta a niente...” e da lì è partito quasi per caso questo gioco di taggare tutte le persone più improbabili, da Barack Obama a Kanye West, per farci votare a Sanremo. Una cosa che non aveva assolutamente senso, ma che è stata un modo per stemperare la tensione di quei momenti. A Sanremo si respira sempre quest’aria di terrore e affrontarla così, secondo me, ci ha messo in una condizione di relax. Per noi era la prima volta e la tensione non mancava. Scherzarci su ci ha sicuramente aiutato.

Diciamo che eravate corde di violino, per rimanere nel tema del vostro pezzo...
Proprio così.





A livello generale la vostra affermazione è anche la riprova di come si stia assistendo a un ritorno non soltanto del rock ma anche e soprattutto del cantautorato, della musica di contenuto, chiamiamola così. Un trend che emerge da un po’ di tempo a questa parte. Tu come la vedi?
C’è questo trend e c’è anche una certa convergenza con i generi che sono andati per la maggiore fino a oggi. Per esempio dalla trap verso la canzone forse perché la forma canzone ha una vita più lunga. Quindi ormai da qualche anno si tende ad avere pezzi con strofe reppate e poi il ritornello. Non di rado mi è successo di avere richieste, di scrivere dei ritornelli in modo che le strofe potessero venire reppate dal rapper; è come se il brano da solo sulle strofe non si reggesse del tutto. Quindi, c’è ormai questa tendenza a scrivere il ritornellone; che però a mio avviso alla lunga potrebbe essere un grande abbaglio. È una cosa che si esaurisce subito, perché spesso cominci a sentire dei brani dove c’è attaccata una melodia per avere l’effetto che sia qualcosa di melodico ma se è un’operazione incollata “tanto per”, alla fine non so se avrà vita lunga. Nell’insieme sono più i rischi. Si rischia, se non c’è un buon lavoro di autorato e produzione, di avere – così com’è successo con il genere urban - un’ondata che sembra fagocitare tutto... le radio, gli ascoltatori, gli streaming... per un po’ la gente ascolta solo quello... poi tutto svanisce in una bolla di sapone.





Peraltro sembrava quasi che gli autori non servissero più in quella fase...
Esatto. Di base chiunque usciva con qualsiasi cosa urban, anche solo una cantilena trascinata con una base un po’ hip pop sotto e sembrava il genio del quartiere. Però una volta che escono sessantamila pezzi tutti uguali, si satura tutto il mercato e finisce per morire il genere. Io ho un po’ la sensazione che anche questa tendenza nuova, se non gestita bene, potrebbe fare la stessa fine. Però è anche vero che il pop è musica di consumo, anche molto veloce e quindi da autore ti dico “ok, va bene”, da cantautore chiaramente quello a cui ambisco io nel mio percorso professionale è scrivere delle canzoni più universali e che hanno la pretesa, e forse la spocchia, di durare nel tempo.

Giusto così: l’ambizione deve essere quella. A proposito: nel tuo futuro ora che cosa c’è? Nel futuro immediato immagino un ritorno ai live... e in quello un po’ più lontano?
Nel futuro in senso lato c’è appunto il mio lavoro di autore con la sfida di fare poche cose ma fatte in un certo modo per cercare di cambiare anche un po’ alcuni cliché della musica pop, o almeno questo sarà il tentativo. E quindi continuare a lavorare come autore con i miei contatti, che non sono tanti, ma è la cosa che mi piace e mi diverte fare. Nell’immediato il tour: quest’estate ci aspettano una quarantina di date. E siamo davvero felici. Siamo rientrati in quella che è la nostra “normalità”: le date, la preparazione, le prove, l’allestimento... sarà tutto suonato da una band di amici e collaboratori storici, un gruppo affiatato che si conosce da anni. E stiamo preparando anche qualche sorpresa...





Ti chiedo un’ultima cosa: per chi fa il tuo lavoro da tanto tempo e in questo tempo si è costruito una sua nicchia, un suo successo e anche una sua consapevolezza... quando arriva un boom così improvviso che cosa scatta in testa? Pensi “cazzo ce l’ho fatta!”? O scattano altri ragionamenti?

Guarda, io sono consapevole che “Musica leggerissima” è un incidente, lasciamelo definire così; che ce l’ho fatta non lo penso, anche perché non ho più 20 anni e come dicevi tu, ho già una mia nicchia di ascoltatori che mi trascino ormai da tempo e che credo sia solida, almeno lo spero. Dal mio punto di vista è su quello che devo continuare a lavorare e non iniziare a rincorrere sempre il singolo radio oppure puntare a fare “Musica leggerissima” due. Per me a monte quello era un brano, come tanti altri miei pezzi, che magari potevano avere una forza simile ma che non hanno avuto la fortuna di avere un megafono così grande. “Musica leggerissima” si è trovato anche in un momento storico favorevole perché tutti avevano voglia di sentirsi dire queste cose e nessuno le aveva ancora dette... quindi probabilmente ha avuto anche questa ulteriore spinta. Il classico pezzo arrivato al momento giusto e nel posto giusto.


MUSICA LEGGERISSIMA È STATA UN’ALCHIMIA IN CUI HA FUNZIONATO
TUTTO: IL PEZZO GIUSTO AL MOMENTO
GIUSTO, MA NON MI SENTO ARRIVATO. “NON CE LA FARÒ MAI” PER ME
È UNO STATO MENTALE.
ORA MI GODO IL MOMENTO, FELICE
DI ESSERE ARRIVATO A UN PUBBLICO DI GRANDI E PICCINI E FELICISSIMO
DI RIPRENDERE I LIVE





Un’alchimia in cui ha funzionato tutto: momento, melodia, platea, alcune frasi magiche...

Quindi te lo ribadisco: non lo so se ce l’ho fatta. In realtà io ho la sensazione che non ce la farò mai... come stato mentale proprio. Mi sento sempre in difetto, è una questione mia, interiore. Per cui mi tengo stretto questo riconoscimento professionale che è arrivato grazie a dieci anni di lavoro, però ecco non mi sento né arrivato, né credo che la mia vita sia cambiata per sempre. Questo proprio no. Non mi metterò a rincorrere questa cosa rischiando di fare peggio. Bisogna avere la forza di continuare a seguire le proprie idee artistiche, senza tenere conto di questa improvvisa popolarità.
Matteo Grandi

A due anni leggeva Proust, parlava perfettamente l'inglese, capiva il francese, citava il latino e sapeva calcolare a mente la radice quadrata di numeri a quattro cifre. Andava al cinema, seppur accompagnato dai genitori, suonava il pianoforte, viaggiava in aereo, scriveva poesie e aveva una fitta corrispondenza epistolare con l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. A sei anni ha battuto la testa cadendo dagli sci. Del bambino prodigio che fu restano l'amore per il cinema, per la scrittura e per le feste natalizie. I segni del tracollo sono invece palesati da un'inutile laurea in legge, da un handicap sociale che lo porta a chiudersi in casa e annullare appuntamenti di qualsiasi genere ogni volta che gioca il Milan e da una serie di contraddizioni croniche la più evidente delle quali è quella di definirsi "di sinistra" sui temi sociali e "di destra" su quelli economici e finanziari. A trent'anni ha battuto di nuovo la testa e ha fondato Piacere. Gli piacerebbe essere considerato un edonista; ma il fatto che sia stata la sofferenza (nel senso di botta in testa) a generare il Piacere (nel senso di magazine) fa di lui un banalissimo masochista.