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Nient'altro che Brusco In evidenza

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Nient'altro che Brusco

Intervista spensierata a Giovanni Miraldi, in arte Brusco

Intervistare Brusco vuol dire interazione, perché Giovanni Miraldi, il suo vero nome, è un cantante che non è riuscito a farsi travolgere dal personaggio, bensì è riuscito a mantenere una contaminazione personalistica e genuina, che è quella che gli deriva dal saper riconoscere la sua natura, le sue esigenze e passioni. Mi racconta che di spiritualità nel reggae ce n’è poca, smentendo chi gli pone le domande, che questo genere musicale lo percepiva un po’ così, forse per il carico di storia originaria che si porta dietro, forse per qualche luogo comune. Invece no, perché la stragrande maggioranza dei cantanti giamaicani cantano soprattutto di sesso, soldi, armi. Oggi, il cantante, solista dal 2008, dopo aver avuto esperienze con i Vatikan Posse e i Villa Ada Posse, è un punto di riferimento per i cultori del genere e per chi non si limita a sentire, ma ascolta la sua musica.

 

Ultimamente hai frequentato anche altri generi ma la tua anima musicale è reggae. Perché ti riconosci in questo sound?

Veramente non frequento altri generi che il reggae, lì dove la definizione di reggae coincide con le varie interpretazioni che ne danno i giamaicani. Roots, dancehall, calipso, ska, soca sono tutti rami di un unico albero che ha le radici saldamente piantate in Giamaica. Amo questo genere da quando avevo 14 anni. Soprattutto per l'interazione tra i cantanti ed il pubblico e per le modalità uniche attraverso le quali si sviluppano gli show dal vivo.

 

Hai avuto successo anche con brani dal respiro commerciale. Che rapporto c’è tra il reggae e la musica commerciale?

Per quanto riguarda me, ritengo che gestire una certa esposizione mediatica e una accezione stereotipata di successo non sia semplice. Io, fortunatamente, ho capito in pochi mesi che quel mondo non mi piaceva e poco si adattava alla mia musica. Preciso, infine, che a parer mio il termine commerciale, inteso negativamente, corrisponde alla volontà di chi compone un brano, di seguire i gusti del pubblico, delle radio o dei discografici, anziché i propri, tradendo così l'ispirazione che guida ogni forma di arte.

 

Quali sono i tuoi maestri musicali, o artistici in generale? 

Adoro Bruce Springsteen da quando ero adolescente per la grande energia dei suoi live e la sua autenticità. Poi ci sono i grandi cantanti giamaicani come Buju Banton, Bounty Killa, Beenieman, Capleton, Sizzla, che hanno dato un enorme contributo alla musica giamaicana dagli anni 90'.

 

Secondo te, chi ti ascolta, soprattutto i giovani di oggi, riesce a cogliere il senso delle tue canzoni?

Spero proprio di sì. Certo, alcune cose sono fruibili più o meno da tutti mentre altre richiedono una sensibilità più affine alla mia. Ovviamente, giunto ai 40 anni, la forbice tra il mio modo di vivere e quello di un teenager si è ampliata. Non mi aspetto che loro capiscano me più di quanto io possa comprendere loro, tuttavia il senso della mie canzoni non è così complicato da afferrare.

 

In un tempo di conclamata crisi economica, che diventa anche crisi del poter fare e del poter essere, pensi si sia perso lo spirito positivo del credere nonostante tutto, del riconoscere qualcosa di buono, dell'apprezzare?

Poter fare senz'altro è complicato ad oggi in questo Paese. Poter essere è possibile e doveroso, anche se a volte un lavoro e delle sicurezze economiche ci possono aiutare a definire la nostra identità. Lo spirito è permeato da un scarsa fiducia nel futuro e nella possibilità di un miglioramento. Tuttavia, mancano ancora la rabbia e il coraggio di mandare a monte questo sistema per costruire qualcosa che garantisca maggiori opportunità e dignità. Di questo passo sono certo che arriveranno anche quelle.

Riconoscere il buono è parte di questo processo. Purtroppo siamo abituati a confondere quello che conviene fare con quello che è giusto fare. Occorrerebbe fermare la mentalità per cui ognuno pensa a sé.

 

Chi ascolta musica reggae ha sicuramente un'esigenza di spiritualità. Come si concilia questa, con una società che rincorre obiettivi a tutti i costi, in cui l'apparenza corrisponde spesso all'essere, che confeziona persone rendendo arrendevoli troppi cervelli?

La spiritualità ha poco a che fare con un genere musicale. Se parlando di reggae ti riferisci a Bob Marley, bisogna tener presente che sono passati 35 anni dalla sua morte. Il reggae oggi è un'altra cosa e se qualcuno ancora ricerca la spiritualità di cui parli, è cosa rara. La maggior parte di artisti e fruitori badano a cose molto più materiali. Io, personalmente, nella musica come nella vita, cerco di conciliare le due cose. È verissimo che la vita che vediamo scorrere sotto gli occhi ogni giorno bada poco a ideali, valori spirituali e morali. Sembra che tutto sia giustificabile in base a quanto produce e fa guadagnare. Io cerco di mandare messaggi diversi. I soldi sono un mezzo per vivere bene. E vivere bene per me non vuol dire circondarsi di belle cose.

 

Giochiamo con i titoli dei tuoi dischi e delle tue canzoni:

"Si fa presto a dire"... Brusco, perché sono solo 6 lettere.

"L'ignoranza" è ... L'incapacità di guardare se stessi dall'esterno.

"Il meglio di me" è ... quello che cerco scrivendo canzoni.

"Me piace la gente" quando... Riesce a interagire civilmente.

"Amore vero" è ... qualsiasi passione ci aiuti a restare curiosi anche da grandi.

"Intollerante" quando ... vedo soprusi.

"Il mondo è anche mio" quando, o nonostante... Sempre, nonostante chi crede di poter decidere al mio posto. Piuttosto infrangerò le leggi.

"Sotto i raggi del sole" succede che...  C'è chi si rilassa e chi invece si scotta.

 

Quali sono i tuoi progetti musicali, in corso e futuri?

Ogni giorno ne ho di nuovi e ogni giorno potrei cambiare quelli fatti in precedenza. Vedremo, ma fare un album tanto per farlo o per suonare di più in giro, sarebbe irrispettoso nei confronti dell’ispirazione che tanta fortuna mi ha portato
Pubblicato in PM TopNews