Stampa questa pagina

L'editoriale n.138

Scritto da 
0
|| || ||

Ottant’anni di anti-fascismo da parata, poi arriva il fascista perfetto e loro con le mani in tasca a fischiettare

Riflettevo in questi giorni su come i tempi cambino e su come sia diversa l’adolescenza dei ragazzi di oggi, rispetto ai nati negli anni ’70 o ’80. Derubati dal Covid della socialità, i giovani di oggi ora si trovano a convivere con lo spettro di un conflitto mondiale con tanto di rischio nucleare. Il tutto in un’epoca che, fino a due anni fa, sembrava tutto sommato tranquilla e destinata a mantenere per inerzia un equilibrato status quo, politico e sociale. Almeno in questa parte di mondo.

Tutto cambia. Ma lo capiamo soltanto quando il cambiamento ci travolge. Eppure, sono sempre più convinto che le vere vittime di questi tempi così cupi siano i più giovani, quelli che dovrebbero avere il diritto alla spensieratezza e alla leggerezza e che invece si sono ritrovati chiusi in casa, colpevolizzati, distanziati e spaventati. Cercare i numeri sui danni psicologici subiti dai ragazzi per credere: questi due anni hanno avuto un impatto enorme sulla loro salute mentale. E forse è proprio ai giovanissimi e ai grandi vecchi che dovremmo chiedere scusa.

Ai primi per il mondo che gli abbiamo fatto trovare, ai secondi per non averli saputi proteggere (e anche per aver pensato di poter fare a meno della loro saggezza, quando ancora oggi, Mattarella docet, gli unici in grado di segnare la strada e di ergersi a punto di riferimento nel momento del bisogno). Scusateci ragazzi, scusateci per una generazione irresponsabile che non ha mai voluto aprire gli occhi sulle vere minacce dei nostri tempi: virus, guerre e, purtroppo, cambiamento climatico.

Se poi penso che i diciottenni di oggi non vedono l’Italia a un Mondiale da 8 anni e non l’hanno mai vista superare un girone, mi sento ancora più in colpa. Ma questo è un altro discorso.

L'editoriale n.138
   
Pubblicato in Editoriale
Etichettato sotto
Matteo Grandi

A due anni leggeva Proust, parlava perfettamente l'inglese, capiva il francese, citava il latino e sapeva calcolare a mente la radice quadrata di numeri a quattro cifre. Andava al cinema, seppur accompagnato dai genitori, suonava il pianoforte, viaggiava in aereo, scriveva poesie e aveva una fitta corrispondenza epistolare con l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. A sei anni ha battuto la testa cadendo dagli sci. Del bambino prodigio che fu restano l'amore per il cinema, per la scrittura e per le feste natalizie. I segni del tracollo sono invece palesati da un'inutile laurea in legge, da un handicap sociale che lo porta a chiudersi in casa e annullare appuntamenti di qualsiasi genere ogni volta che gioca il Milan e da una serie di contraddizioni croniche la più evidente delle quali è quella di definirsi "di sinistra" sui temi sociali e "di destra" su quelli economici e finanziari. A trent'anni ha battuto di nuovo la testa e ha fondato Piacere. Gli piacerebbe essere considerato un edonista; ma il fatto che sia stata la sofferenza (nel senso di botta in testa) a generare il Piacere (nel senso di magazine) fa di lui un banalissimo masochista.