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L'editoriale n.102

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L'editoriale n.102

Comunque, nel dubbio, l'anno prossimo direi di tornare a una Miss Italia che sogna la pace nel mondo

Dopo Parigi, qualcosa è cambiato. Per sempre. Nelle nostre vite fragili e fugaci, nella nostra percezione della realtà, nel nostro rapporto con la sicurezza. Eppure la parola d'ordine è “fingere”. Fingere di essere normali, fingere che la vita vada avanti come se niente fosse, fingere di non essere parte di una guerra mediatica, politica, economica, parzialmente religiosa e abbastanza virtuale che potrebbe presentarci il conto in qualunque momento, in qualunque posto: al bar, a teatro, in metropolitana. E probabilmente saremo costretti a fingere anche quando sceglieremo la meta della prossima vacanza o il prossimo concerto. Ma siccome stiamo fingendo, dovremo fingere fino in fondo: viaggiando, uscendo, forzandoci di sembrare fottutamente normali. È l'amore per la vita ai tempi del terrorismo. E siccome vivere da morti è un paradosso, i fatti ci hanno messo di fronte a una scelta: continuare a riempire la vita di vita come se niente fosse o farci paralizzare dalla paura? Per uscire dal dilemma, quest'anno sotto l'albero dovremmo augurarci di trovare le parole di Antonio Borsellino, uno che con la precarietà della propria esistenza era, suo malgrado, costretto a conviverci costantemente: “chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Certo, Borsellino era un eroe pronto a sacrificarsi per la verità, mentre noi siamo un gregge senza pastori che la “verità” è abituato a farsela imboccare il pomeriggio da Barbara d'Urso. Ciononostante abbiamo il dovere morale di fare la scelta giusta: di non cambiare le nostre abitudini, per cambiare la strategia dei nostri nemici invisibili. Il terrorismo nasce, etimologicamente e non solo, per farci vivere nel terrore. Lo scopo finale è quello di spaventarci, al di là delle singole stragi. Non farci terrorizzare è un punto a nostro favore. E fingere è forse il miglior modo per allenarsi a fare sul serio.

In questo contesto, è con un certo pudore, che torno alle piccole cose di casa nostra raccontandovi un significativo cambiamento a cui PM sta per andare incontro: puntando sempre più decisi su una presenza quotidiana sul web, senza mollare il cartaceo a cui sia noi che voi siamo romanticamente e visceralmente legati, abbiamo deciso di razionalizzare le uscite che non saranno più dieci all'anno ma sei. Ci rifacciamo bimestrali (come agli albori della nostra avventura) per offrirvi un magazine cartaceo ancora più ricco e per farvi compagnia, informandovi, in modo sempre più assiduo online.

Il mondo va avanti e noi non possiamo “fingere” di non accorgercene. Per l'appunto.

L'editoriale n.102
   
Matteo Grandi

A due anni leggeva Proust, parlava perfettamente l'inglese, capiva il francese, citava il latino e sapeva calcolare a mente la radice quadrata di numeri a quattro cifre. Andava al cinema, seppur accompagnato dai genitori, suonava il pianoforte, viaggiava in aereo, scriveva poesie e aveva una fitta corrispondenza epistolare con l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. A sei anni ha battuto la testa cadendo dagli sci. Del bambino prodigio che fu restano l'amore per il cinema, per la scrittura e per le feste natalizie. I segni del tracollo sono invece palesati da un'inutile laurea in legge, da un handicap sociale che lo porta a chiudersi in casa e annullare appuntamenti di qualsiasi genere ogni volta che gioca il Milan e da una serie di contraddizioni croniche la più evidente delle quali è quella di definirsi "di sinistra" sui temi sociali e "di destra" su quelli economici e finanziari. A trent'anni ha battuto di nuovo la testa e ha fondato Piacere. Gli piacerebbe essere considerato un edonista; ma il fatto che sia stata la sofferenza (nel senso di botta in testa) a generare il Piacere (nel senso di magazine) fa di lui un banalissimo masochista.