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Mail a Repubblica da una nave che sta affondando

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Mail a Repubblica da una nave che sta affondando

Cara Repubblica.it, scusa se ti scrivo soltanto oggi, ma ieri, fra l’infuriare della tempesta e la nave in fiamme, sono stato preso dalla tentazione impulsiva e irrazionale di salvarmi il culo,

anziché prendere in mano lo smartphone, entrare sul tuo profilo Twitter, annotarmi diligentemente l’indirizzo mail e l’hashtag #NormanAtlantic e scriverti, come da tuo incoraggiamento, un resoconto su quanto stava accadendo a bordo. Fra l’altro – so che può sembrare una scusa ma ti giuro che è così – su una nave che brucia e va a picco la gente si fa prendere dal panico, corre, piange, grida e ti garantisco che trovare la concentrazione per scrivere due righe in mezzo a un casino del genere è davvero difficile. Non ti nascondo che per un po’ il telefono l’ho usato, ma – non ti offendere – è stato soltanto per provare a contattare i miei parenti. Poi sai com’è: questi smartphone si scaricano in fretta e ho pensato che quel po’ di batteria che mi restava era meglio provare a conservarla.

A mia parziale discolpa posso dire di essere stato in buona compagnia. C’è addirittura chi è finito in mare aggrappato a un galleggiante di salvataggio senza neppure togliere lo smartphone dalle tasche. E chi, in preda al terrore, è fuggito dalle cabine senza portarsi dietro il telefonino. Sì, lo so, dei veri incoscienti. E che cosa dire di chi – mentre cercava di twittare fra i cavalloni a bordo di una scialuppa – ha visto volare via il proprio cellulare, causa mare a forza 8? Per tacere di quelli che, portati in salvo dagli elicotteri, non hanno avuto neppure la sensibilità di farsi un selfie dall’alto e inviartelo in tempo reale.

Perdonami Repubblica.it se anch’io mi sono adeguato a questo andazzo, ignorando il tuo invito. So bene che questa è una prassi diffusa nel giornalismo anglosassone, che la vera informazione non guarda in faccia nessuno, che la notizia viene prima di tutto, che non è cinismo ma un sacrosanto servizio al cittadino seduto in poltrona quello di chiedere al cittadino che sta prendendo fuoco cosa si prova a rivivere il pathos di Giovanna D’Arco.

Anzi, mi scuso per aver pensato che una richiesta del genere fosse, più che bieco sensazionalismo, una sparata ridicola. La prossima volta in cui mi troverò su una nave in fiamme, su un aereo in picchiata, su un autobus che vola giù dal cavalcavia o a bordo di un treno ad alta velocità che sta deragliando in curva, ti prometto che manterrò il sangue freddo e ti scriverò, senza farmi distrarre da nessuno; neppure dall’istinto di sopravvivenza.