Stampa questa pagina

Marco Caprai In evidenza

Scritto da 
0
||

Il papà del Sagratino si racconta a PM

20 anni dopo l’intervista concessa al nostro neonato magazine, l’imprenditore fa un punto su progetti, innovazione e grandi riconoscimenti dell’ultimo periodo

Marco Caprai non è solo un produttore di vino, ma un innovatore che ha rivoluzionato il Sagrantino di Montefalco, trasformandolo grazie a un’intuizione (in cui in pochi all’inizio avevano creduto) da tesoro locale nascosto a eccellenza internazionale. Con una visione imprenditoriale audace e un profondo rispetto per la tradizione, Marco Caprai ha saputo coniugare tecnologia, sostenibilità e cultura del territorio, elevando l’Umbria nell’élite del vino mondiale.

Oggi, il suo nome è sinonimo di qualità e lungimiranza: un imprenditore che guarda al futuro senza mai perdere di vista le radici. E che, non a caso, sta “collezionando” riconoscimenti
di prestigio
.

Solo nell’ultimo anno il premio alla carriera, attribuitogli da Falstaff, la più importante rivista della comunicazione enogastronomica, travel e design nei Pasi di lingua tedesca e il titolo di Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana per l’imprenditoria etica ricevuto al Quirinale dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella per il progetto che, con la Caritas, supporta i migranti tra le vigne. In mezzo tanti altri progetti di valore, fra i quali quello in collaborazione con ITS Umbria per la digitalizzazione del vigneto e la start-up Spum.e, un progetto ambizioso con cui le cantine Arnaldo Caprai e Semonte di Gubbio vogliono vincere la sfida
di produrre a 850 metri d’altitudine spumanti d’eccellenza per superare i problemi derivanti dal riscaldamento globale, ma soprattutto valorizzare le zone montane dell’Appennino umbro in via di abbandono promuovendone recupero e reinsediamento. Noi, memori di una delle prime interviste della nostra storia (era il 2005 e da là si è instaurato un rapporto costante e stimolante con Marco Caprai), abbiamo deciso di tornare in cantina per fare, insieme al Re del Sagrantino, un punto 20 anni dopo.



Marco, a che punto del suo percorso è oggi, nel 2025, la cantina Arnaldo Caprai?
Non saprei dire a che punto del percorso siamo. So però che noi abbiamo la fortuna di ragionare an- cora come una startup. Il che significa elaborare progetti, dargli vita, gambe, cercare di portarli dentro il corpo dell'azienda. Poi, quando ragioni nella logica della startup hai uno spirito trasversale. La nostra, in questo senso, è un'azienda un po' strana, perché partendo dal comparto agricolo, riusciamo ad avere un significativo ruolo anche in comparti che non ci sono propri.


Secondo te qual è oggi il percepito di Caprai in Italia e nel mondo?
Credo che noi veniamo considerati per quello che siamo: degli specialisti per quanto riguarda i vini di alta qualità da uve autoctone, quindi da uve tradizionali. Raccogliamo il frutto della nostra filosofia, unendo la tradizione con l'innovazione, ragionando sempre con il concetto della startup. Il nostro obiettivo è da sempre quello di creare valore. Non mi riferisco soltanto al valore che c’è nella bottiglia, ma anche e soprattutto all’idea di creare valore nel territorio e attraverso il territorio.



C'è una parola che in questo momento va molto di moda nel mondo dell'impresa e ancora di più nel mondo dell'agricoltura. La parola è: sostenibilità. Voi questa sostenibilità come la interpretate?

Partiamo dal presupposto che l'agricoltore è un soggetto sostenibile per forza di cose. Se non fosse sostenibile non avrebbe più un domani. Quindi è insito nella natura dell'agricoltore essere sostenibile; di fatto è una precondizione. Se noi sfruttassimo una pianta, un terreno, un animale oltre le sue possibilità il giorno dopo non ci sarebbe più il terreno che produce, la pianta che germoglia e neppure la vacca che fa il latte. La sostenibilità è legata veramente a triplo filo con l'attività agricola e questo, per fortuna, oggi iniziano anche a capirlo a Bruxelles perché i nuovi documenti che stanno uscendo finalmente rendono giustizia all'attività agricola dopo averla a lungo condannata. A un certo punto eravamo arrivati quasi al paradosso che una vacca fosse considerata più inquinante di un Airbus A380. Insomma, anche un bambino capisce che un certo modo di ragionare è assurdo.


Sulla sostenibilità voi adesso siete anche nel pieno di un restyling funzionale della cantina: state cambiando pelle anche dal punto di vista della struttura.

Permesso che siamo stati pionieri della sostenibilità perché quando ne parlavo io intorno primi anni 2000 i miei stessi dipendenti mi guarda- vano come un alieno, il concetto è proprio questo: noi all'epoca avevamo individuato già qual è l'equilibrio tra i diversi ambiti della sostenibilità, perché è vero che la sostenibilità nasce per una certa tendenza ambientalista, quindi ponendo al centro un tema legato all’ambiente, però subito dopo la sostenibilità si è sviluppata intorno alla parte economica e a quella sociale. E il vino, a maggior ragione, ha un rapporto con la parte sociale molto diretto. Anche il nostro progetto con i migranti nasce nell’alveo della sostenibilità.


Il progetto con i migranti è stato anche l'emblema dei tanti premi che avete vinto negli ultimi anni per il prodotto, per la capacità di fare impresa e per i progetti innovativi. Non è un caso che, per questa specifica attività, sia arrivato il riconoscimento di Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana da parte del Presidente Mattarella. Ci racconti il progetto?
Il progetto, come dicevo, si è innescato proprio nel percorso della sostenibilità. Siamo partiti da una difficoltà: quella di un'azienda che fa fatica a trovare lavoratori, perché il lavoro agricolo è un lavoro stagionale, è un lavoro che risente delle condizioni meteo e di conseguenza il lavorare nel mondo agricolo non è quasi mai la prima scelta. Però questo porta le nostre aziende a essere sempre più a rischio perché senza lavoratori non c’è né sviluppo né crescita. Quindi di fondo, il progetto, che peraltro è iniziato cercando di dare una mano alla Caritas di Foligno per dare occupazione a dei ragazzi che erano già sul nostro territorio e avevano fatto richiesta di asilo, si è pian piano sviluppato ed è diventato un fiume in piena. Credo che abbia pagato anche la serietà della nostra azienda. Qua ci sono tutte le premesse per dare un lavoro dignitoso. Oggi siamo davvero contenti di questo percorso.



Tante luci, ma anche qualche ombra sul mondo del vino. Penso alle nuove regole sulla patente e all’avvento di Trump che con i suoi dazi minaccia di mettere i bastoni fra le ruote alle attività che, come la vostra, hanno un grande mercato negli USA. Quanto questi due aspetti stanno penalizzando il comparto? Tu come li stai vivendo?
Lo shock delle patenti è stato uno shock forte, a tratti è sembrato di rivivere la situazione che si era gene- rata con lo stop americano ai tempi del metanolo. È stato come se, improvvisamente, la bevanda alcolica, il vino in particolare, fosse diventato un rischio per il consumatore. Al punto da farne a meno. Quindi il momento è molto molto difficile. Speriamo che i consumatori, dato che di fondo i limiti non sono cambiati, imparino soltanto a stare più attenti, adottando qualche piccolo accorgimento, magari chi quella sera si mette al volante non beve, senza che questo influisca sugli altri commensali e sulla convivialità. Fortunatamente ho la sensazione che piano piano le cose stiano rientrando; anche a livello di messaggio, l’attenzione sacrosanta alle regole della strada non può passare come una caccia al padre di famiglia che esce la sera a cena. Poi prima di demonizzare il vino farei anche un’ulteriore riflessione: l'Italia è uno dei Paesi con il consumo di vino più alto e con la vita media più lunga d'Europa, probabilmente non è il vino che crea problemi alla salute. Il consumo del vino che c'è in Italia è legato alla tavola, all'edu- cazione che abbiamo verso il cibo, non è il consumo dii superalcolici del Nord Europa. Essendo un Paese con radici cattoliche, il vino fa parte della nostra cultura e della nostra storia. Il primo miracolo di Gesù Cristo “le nozze di Cana” fu trasformare l’acqua in vino, per averne a sufficienza, non di più. Dobbiamo semmai vigilare su questo, ossia che il consumo non diventi abuso.


E sui dazi?

Io prima dei dazi in America vedo un problema in questa nostra Europa. Ed è qua che dobbiamo fare qualcosa per trasformarci in una realtà forte e unita, politicamente e commercialmente, per opporsi, uniti, all’idea di Trump di imporre ai prodotti UE il 25% di dazi, che per il cibo e il vino made in Italy rappresenterebbe una stangata da 2 miliardi di euro, ma soprattutto, se ciò accadesse, riporterebbero le nostre filiere produttive ad almeno 20 anni indietro, vanificando i grandi sacrifici fatti. L’effetto a catena sarebbe devastante.


Riavvolgiamo il nastro a 20 anni fa. Nel 2005, Piacere Magazine, proprio nel suo primo anno di vita, incontra Marco Caprai. Eravamo nati da poco. Tu sei stato una delle nostre prime interviste e da lì si è anche creato un rapporto di collaborazione che ci ha portato a seguire alcuni progetti insieme. In- somma, si è instaurata un’amicizia tra la cantina e la nostra rivista. In questi 20 anni, nel frattempo, sono successe tante cose. Avete lancia- to nuovi prodotti, avete lanciato le bollicine, avete creato nuovi vini, fatto iniziative molto belle legate alle etichette, magari collegate anche a dei recuperi artistici. Ecco, se dovessi segnalare fra il 2005 al 2025 due progetti legati al prodotto di cui sei particolarmente soddisfatto, quali citeresti?

Ne citerei tanti. Penso, per esempio, a quello relativo alla Madonna della Cintola: è stato veramente un progetto bello in cui abbiamo messo insieme i social, il fashion e la comunità per ottenere un risultato importante, quale quello di riporta- re un’opera d'arte così significativa a Montefalco attraverso il rapporto con la più importante struttura culturale del mondo, i musei Vaticani. Credo che quella sia stata una grande cosa, così come il Giro d'Italia. Ecco, aver contribuito a portare a Montefalco il Giro d'Italia è stato un traguardo immenso. Poi abbiamo fatto tanti progetti belli e importanti anche in chiave social. Ricordo quello in collaborazione con PM con gli influencer di Twitter che firmarono una serie di etichette in edizione limitata: un’attività legata al restauro dell’affresco di Benozzo Gozzoli.


Ti faccio una domanda un po' cattivella. Hai citato il Giro d'Italia a Montefalco: una delle artefici
di quel progetto è stata Donatella Tesei, ex sindaco di Montefalco ed ex presidente della Regione, con la quale tu hai da sempre un legame importante, alla luce del sole. Come vedi oggi, nel dopo Tesei, la nostra regione? Dove sta andando l'Umbria?
A oggi mi preoccupa il fatto che stiamo rinunciando a connettere l’Umbria con il resto del mondo. Non vedo una spinta in questo sen- so; ora stiamo persino aspettando che sia la Toscana a dirci dove costruire la stazione Medio Etruria. Del nodo di Perugia non si capisce che cosa sarà e sull'aeroporto non si comprendono le strategie. Per contribuire allo sviluppo di questa regione, l'unica strada è aumentare le sue connessioni. Questo è fondamentale e spero che venga presto recepito. I collegamenti con le principali città italiane, a partire da Milano, devono essere potenzia- ti e velocizzati.


Ultimissima cosa: vuoi dedicare un tuo pensiero ai 20 anni di Piacere Magazine? Te l'aspettavi che un free press avrebbe tagliato questo traguardo nella nostra regione?
Be’ non era affatto scontato. Io credo che quello che ha fatto PM sia veramente una grande cosa perché oggi vediamo che la stampa è in enorme difficoltà: chiudono le edicole, i giornali nazionali fanno delle tirature che una volta facevano i quotidiani locali... Quindi aver aggiunto un traguardo così ambizioso in una regione così piccola dando attenzione a mille cose, alle piccole attività, ai piccoli artigiani, ai personaggi dell’Umbria è davvero qualcosa di importante. Anche perché siete riusciti ad accendere una luce su questo contesto del lifestyle dell'Umbria, che è meta turistica di livello e in cui si fanno cose meravigliose.

 

Pubblicato in PM TopNews
Matteo Grandi

A due anni leggeva Proust, parlava perfettamente l'inglese, capiva il francese, citava il latino e sapeva calcolare a mente la radice quadrata di numeri a quattro cifre. Andava al cinema, seppur accompagnato dai genitori, suonava il pianoforte, viaggiava in aereo, scriveva poesie e aveva una fitta corrispondenza epistolare con l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. A sei anni ha battuto la testa cadendo dagli sci. Del bambino prodigio che fu restano l'amore per il cinema, per la scrittura e per le feste natalizie. I segni del tracollo sono invece palesati da un'inutile laurea in legge, da un handicap sociale che lo porta a chiudersi in casa e annullare appuntamenti di qualsiasi genere ogni volta che gioca il Milan e da una serie di contraddizioni croniche la più evidente delle quali è quella di definirsi "di sinistra" sui temi sociali e "di destra" su quelli economici e finanziari. A trent'anni ha battuto di nuovo la testa e ha fondato Piacere. Gli piacerebbe essere considerato un edonista; ma il fatto che sia stata la sofferenza (nel senso di botta in testa) a generare il Piacere (nel senso di magazine) fa di lui un banalissimo masochista.