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Lorenzo Polegri, lo chef orvietano che ha messo d’accordo Obama e Trump

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Si definisce un “cuoco agricoltore” radicato nella sua terra ma con la valigia sempre pronta per scoprire nuovi paesi

testo Rebecca Pecori

Quando si nasce con i piedi nella terra, difficilmente si riesce a dimenticare le proprie radici. E non sono bastati anni di viaggi oltreoceano, cene presidenziali, pranzi con ambasciatori per impedire allo chef Lorenzo Polegri di ritornare sempre a casa, in Umbria, nella sua Baschi. Da qui è partito per la prima volta nell'estate della maturità con un volo di sola andata per New York. Una scommessa che in quel caldo 1984 Lorenzo voleva lanciare a se stesso non sapendo che quella sfida avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Perché da allora non ha mai smesso di tornare negli Stati Uniti. Fino al 2001, l’anno della svolta, quando il comune di Orvieto lo sceglie come chef per rappresentare la cucina italiana presso il palazzo di vetro delle Nazioni Unite, a New York. In quel contesto, ha l’opportunità di preparare un Menù personalizzato per il diplomatico Kofi Annan e la moglie che si innamorano follemente dei suoi tagliolini al tartufo. Poi, l’incontro con i grandi nomi internazionali della cucina e ben presto l’ingresso nella James Beard Foundation, il tempio delle arti culinarie in America che assegna i premi ai migliori chef e ristoranti. Da lì i primi corsi universitari, le lezioni frontali e poi il gemellaggio con le più importanti università degli Stati Uniti suggellato nel 2004 dalla certificazione del suo ristorante di Orvieto “Zeppelin” come l’unico polo universitario di cucina riconosciuto al di fuori dell’America.





Da cosa è nato questo amore viscerale per gli Stati Uniti?

Quando ero bambino e mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande, rispondevo sempre “il cuoco sulle navi, così posso cucinare quello che voglio e viaggiare”, che poi è quello che faccio tuttora. Sono sempre stato affascinato dalla cultura angloamericana. Ancora oggi devo andare negli Stati Uniti almeno due volte l’anno, non posso farne a meno, morirei senza. Credo che ognuno di noi abbia un po’ di Ulisse dentro di sé, che si allontana ma poi torna a casa. Come faccio io che vado in giro per il mondo ma alla fine torno sempre qui, dove sono le mie radici.
Nel tuo costante girovagare c’è qualcosa dell’Umbria che porti sempre con te?
Le tradizioni, i ricordi d’infanzia, tutto. Mi sento più umbro che italiano, sono un agricoltore di Baschi, proprio come mio padre. Ho i miei vigneti e oliveti, i miei tartufi, raccolgo la frutta dai miei alberi. Tutti mi chiamano chef ma io sono un cuoco, un cuoco agricoltore. Perché anche se il mio legame con la terra è forte, la mia anima è in cucina. Da piccolo quando mio padre arava la vigna io mi divertivo a giocare nello scassato, mi nascondevo in questi solchi profondi nel terreno. Quando cresci letteralmente nella terra quell'odore ti rimane addosso per sempre.

A proposito di infanzia, qual è stata la prima cosa che hai provato a cucinare?
Una crema pasticciera. Ero piccolissimo, tanto che mio fratello si rifiutò di accendermi il gas e così mi arrangiai con una candela e un pentolino, anche se ad essere sinceri quella volta il risultato non fu un granché! La prima preparazione portata a termine con successo invece sono state delle tagliatelle fatte a mano, che ancora oggi sono uno dei miei piatti forti.





Qual è il segreto per passare dalla cucina di casa a quella della Casa Bianca?

La mia vita è stata tutta un insieme di coincidenze e incontri fortunati. Anche in questo caso è andata così: un anno durante il semestre estivo di insegnamento venne insieme agli studenti dell’Art Institute di Washington un professore di Arti culinarie che conosceva molto bene Michelle Obama e aveva avuto con lei una fitta corrispondenza sul problema dell’obesità infantile. Fu lui ad innamorarsi dei miei piatti e a propormi di organizzare una cena alla Casa Bianca. Lì per lì pensai fosse uno scherzo. Poi però una domenica che non dimenticherò mai, era il 5 marzo del 2010, ricevetti una chiamata “Chef, cucinerai per la famiglia!” Ci misi un po’ a realizzare la cosa ma dopo un mese ero tra le stanze di uno dei palazzi più importanti del mondo.

Com’è stato cucinare per Obama?
È stata un’emozione grandissima. Il Menù era prefissato ma sono riuscito a inserire un risotto con il tartufo portato da Orvieto. Nella valigia avevo più prodotti della mia terra che vestiti. Sono entrato in un mondo che fino ad allora avevo visto solo nei film. Ci hanno fatto mille controlli e dopo la cena ho anche scoperto che uno dei cuochi era un agente dei servizi segreti sotto copertura. Per me è stato come vivere un sogno irripetibile.





E invece poco dopo sei tornato di nuovo in quelle cucine...
Sì, lo scorso novembre per preparare una colazione per Trump e la sua famiglia. Anche questa volta la sorte ha giocato la sua parte: un mio ex studente appena assunto come sous chef alla Casa Bianca mi ha contattato per ringraziarmi degli insegnamenti e mi ha chiesto di organizzare insieme questa colazione speciale. È stato stupendo rivedere quei corridoi addobbati per Natale, pieni di luci e alberi altissimi. Questa volta ho portato molti affettati umbri e il mio vino ma soprattutto sono riuscito ad entrare nella dispensa personale di Trump che è piena di barattoli di gelato da mezzo kilo perché il presidente ne mangia almeno uno al giorno.

Dopo aver cucinato per gli uomini più potenti del mondo c’è ancora un sogno nel cassetto che vorresti realizzare?
Ce ne sono molti ma uno in particolare mi sta molto a cuore: vorrei cucinare con Papa Francesco. Non tanto cucinare per lui ma proprio preparare qualcosa insieme, magari per una mensa dei poveri o per una comunità in difficoltà. Ho già fatto qualcosa del genere a Dallas qualche anno fa cucinando per una casa che dava ospitalità a madri single vittime di abusi ed è stata un’esperienza straordinaria. Ripeterla in Italia per un evento di beneficenza sarebbe un sogno e mi permetterebbe anche di mostrare quanto la cucina possa essere un veicolo potentissimo di cultura, unione e tradizione.

Lorenzo Polegri, lo chef orvietano che ha messo d’accordo Obama e Trump
   
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