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La Signora in Viola

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La Signora in Viola

La storia inizia in una stazione affollata, un martedì mattina di aprile

La signora che ci interessa è seduta sul bordo di una panca di marmo al binario tre, vicino ad una coppietta d'innamorati. Tutti aspettano un treno che non accenna ad arrivare.

La signora ci interessa perché indossa un lungo cappotto lucido viola, pantaloni aderenti viola, calzette venti denari viola e un paio di sandali con un grande fiore centrale, viola.

Anche i capelli corvini, che il sole di primavera illumina, sembrano proiettare dei riflessi viola.

Potrebbe avere sessant’anni, forse quasi settanta, sembra di statura medio bassa e ha il viso pallido, con le gote rosee di fard e le labbra consumate, rattrappite dalle ingiurie del tempo.

Eppure la signora ha delle mani molto lisce, con unghie lunghissime, internamente sfaldate e ingiallite, ma placcate del colore che più le piace, il viola ovviamente.

Lo smalto è crepato in più punti, perché in questi mesi non poteva di certo perdersi in frivoli vezzi estetici. Ma torniamo ai sandaletti; sono di modesta ecopelle intrecciata fino alle caviglie, marrone chiaro, con questa enorme escrescenza floreale viola. Il fatto curioso è che la signora è munita di sole quattro dita: il mignolo non c’è. La potremmo esaminare per ore, tanto il treno è in ritardo, eppure non riusciremmo a trovare il perduto mignolo della signora in viola. Non c’è, né a destra né a sinistra, è latitante.

Sono trascorsi novantatré minuti, il sole è alto in cielo e la signora è ancora seduta sul bordo della panca di marmo, la coppietta d'innamorati nel frattempo si è spostata all’ombra del pergolato, perché lei odia il sole e non vorrebbe mai rovinarsi il trucco. Lui fa la guardia alle valigie e con la coda dell’occhio cerca il mignolo della donna in viola, per passare il tempo. “Sto sudando Leo, e io odio sudare”, “Lo so, che posso farci io? Questi treni non arrivano mai, ho la sensazione di aver pagato il biglietto per assistere ad uno spettacolo, lo spettacolo dell’immobilità”, “Non capisco, il ritardo non è segnalato sul tabellone, eppure siamo qui da ore”, “Ho appena ricontrollato, binario tre”, “Hai notato quella donna? Non si è mai mossa, sembra una statua”, “E hai visto che piedi bizzarri? Osservali attentamente...le mancano i mignoli, sia di qua che di là!”.

Dopo ore di una stasi che pareva eterna la signora in viola, che forse ha percepito gli sguardi indagatori dei due ragazzi, si gira di scatto verso la zona d’ombra, abbassa gli occhiali scuri lentamente, fin sotto il naso, e sbatte le grosse ciglia grumose una, due, tre volte: un improvviso raggio di sole colpisce in pieno viso prima lei, poi lui. “L’hai visto anche tu?”, “Che cosa?”, “Quella lì, ci ha guardati ed è spuntato il sole, così, in un batter di ciglia”, “Pensavo fosse stata solo una mia sensazione, è inquietante”, “Leo, sta venendo verso di noi, che cosa vorrà?”.


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La Signora in Viola
   
Elena Vecchini

Sono la protagonista di un interRail infinito,
zaino in spalla e taccuino