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Bowden Court
Il primo mese l’abbiamo trascorso qui, a Bowden Court. Non si tratta di un quartiere di Londra, ma di un ostello nel cuore di Notting Hill

Un mese in un ostello: roba da matti, direte. Devo confessare, in realtà, che è stato un soggiorno niente male.

Anzitutto, trattasi di Notting Hill: zona un tempo malfamata – così leggo su internet; personalmente parlando, la conferma a questa tesi si materializza sotto forma di Selden, celebre assassino di Notting Hill ne Il mastino dei Baskerville – oggi quartiere tra più ricchi e chic della città. L’ideale per una laureata in filosofia, ça va sans dire.

Secondo, ci trovavamo qui insieme ad un centinaio di altri ragazzi, tutti studenti della scuola di inglese adiacente all’ostello.

E se ancora non foste convinti, aggiungo il terzo ed ultimo fattore, quello determinante: il cibo. La mensa era in mano ad un gruppo di ragazzi che, devo confessarlo, hanno cucinato pietanze sorprendentemente buone. Passino i bagni condivisi e le compagne di stanza di simpatia discutibile, allora. Sentirsi un branco di pesci fuor d’acqua in un quartiere alla moda non ha prezzo, soprattutto se nutriti a paella e lasagne.

Il piano per il primo mese era abbastanza lineare: corso di lingua (inglese, bando agli equivoci. To improve my English level), sightseeing (vedi sopra, sezione effetti collaterali), fare nuove conoscenze. Partiamo dall’inglese, ché poi il resto viene da solo.

Nonostante abbia capito che studiare inglese qui a Londra sia controproducente (non fosse altro che per la quantità di italiani che la popola), tuttavia la scuola che ho frequentato mi ha colpito positivamente. Una macchina mangia soldi eh, che però ti dà l’impressione di star facendo un investimento su te stesso. Organizzazione impeccabile delle lezioni, supporti didattici di alto livello, ottimi insegnanti. Tranne la mia: Meenu, questo il suo nome, non aveva granché voglia di lavorare. Una mosca bianca, qui a Londra.

Soprattutto, studenti da ogni parte del mondo. Nella mia classe, in ordine di simpatia: una spagnola, una turca, un giapponese, due arabi, due brasiliane, uno svizzero, due italiani. No, un italiano – uno svizzero – un italiano.

Mi sono affezionata a ciascuno di loro. Febbraio è finito, il mio posto in ostello è stato ceduto a un altro studente e nel frattempo io ho cambiato casa un paio di volte ed iniziato il mio tirocinio. Con tutti loro, però, sono ancora in contatto. Molti sono ripartiti, altri sono rimasti a Londra in cerca di lavoro. Nessuno, tuttavia, ha smesso di farsi vivo. Chi su facebook, in diretta dal Giappone. Chi per messaggio, dalla Spagna. Chi via Skype, in collegamento dal Brasile. Chi in una tea room, qui a Londra. Si parla in inglese, ci si aiuta con i gesti, si costruiscono amicizie. Quest’estate, a voler dire di sì a tutti, dovrei volare a Madrid, poi a Tokyo, infine ad Istanbul.

Per la prima volta scopro la bellezza di avere interessi in comune a chilometri e chilometri di distanza, l’imprescindibilità di interagire con una visione della realtà totalmente altra da me, lo stupore nell’ascoltare storie di vita che nulla hanno a che fare con la mia. Scopro altresì il solo merito del caffè americano preso in compagnia: l’essere talmente diluito da richiedere un tempo interminabile per venire sorseggiato fino all’ultima goccia. L’ideale per i racconti di vita, altro che la birra.

Quest’ultima, piuttosto, ha fatto da guida nell’esplorazione della città. Muoversi alla ricerca di un pub significa partire alla scoperta di ogni vicolo di Londra. Abbiamo viaggiato molto, durante il primo mese. Dal mercato di Portobello Road, dietro l’ostello, siamo approdati a Camden, Greenwich, Soho, St John’s Wood, Covent Garden e chi più ne ha più ne metta. Una X sulla mappa della metro per ogni posto visitato: ho finito l’inchiostro e non sono nemmeno a metà dell’opera. Vorrei poter dedicare un intervento a ciascuno di questi posti. Non per descriverli ed assegnare punteggi: a questo già ci pensa egregiamente la Lonely Planet. No, per fissare una volta per tutte i ricordi legati ad ognuno di questi nomi. Con chi ero, cosa ho pensato del discutibile accostamento fra edifici vittoriani e grattacieli dall’aspetto futurista, le parole dette e quelle solo sussurrate, a quale bancarella mi sono fermata ad assaggiare una prelibatezza esotica, di quale libro ho annusato il profumo in uno dei tanti mercatini dell’usato. Non mancherò di farlo, se riuscirò a ricavare tempo in questa città che di tempo sembra non averne mai. Per ora, mi limito a dedicare un pensiero a Primrose Hill. Che poi non è mio. Ci pensa Blake ad esprimere come meglio non si potrebbe la sensazione che fa seguito alla conquista della cima di questa splendida collina di primule, punto privilegiato di osservazione dell’intera città.

I have conversed with the spiritual sun. I saw him on Primrose Hill.
Bowden Court
   
Ludovica Marani

Mi chiamo Ludovica, ho passato il quarto di secolo e nel mio tempo libero adoro fare illustrazioni. Sono perugina, ma vivo a Londra ormai da un po'. Vi ricorderete forse quanto l'ho odiata questa città. Diario di bordo, la rubrica che curavo per Piacere Magazine quando mi trasferii di qua dalla Manica, ne è la riprova. Chi l'avrebbe mai immaginato che a un paio d'anni di distanza mi sarei sentita come a casa, qui. Sarà Porks in Wings, il mio blog illustrato, a parlare per me, di me, del mio precario equilibrio vita-lavoro tra Perugia e Londra.