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Dancity Festival 2015: il racconto di un successo In evidenza

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Dancity Festival 2015: il racconto di un successo

Ed è stato Dancity anche quest'anno. Un anno speciale perché era la decima edizione di un festival sul quale nel 2006 nessuno avrebbe realmente scommesso

Un festival sempre più bello, sempre più coinvolgente, sempre più il Festival del futuro. Ancora una volta si conferma l'atmosfera che a qualcuno di certo ricorda la Umbria Jazz negli anni 70: energie giovani che su quei palchi vogliono disegnare la musica del futuro.

Iniziamo con i Tempelhof, duo italiano che mescola senza soluzione di continuità tante influenze senza mai rimanerne sopraffatto. Stranianti le loro variazioni armoniche, spesso di raffinata ambient (l'amore per Brian Eno era evidente) e anche coinvolgente la loro scelta scenica, dove la presenza di una chitarra riusciva anche a dare la fisicità che a volte manca in contesti compositivi similari.

L'evento clou di venerdì naturalmente era l'esibizione dei Cabaret Voltaire, o meglio di ciò che resta del gruppo originale, già attivo negli anni 70 e band di culto della new wave industrial degli anni 80. Una esibizione profonda, ammaliante, un rapimento emotivo da 3 grandi schermi video, dove decine di migliaia di spezzoni di documentari e notiziari (tra gli anni 40 e gli anni 80) digitalizzati e mixati tra loro venivano proiettati alle spalle dell'artista. Un enorme video patchwork di clip montate e virate in cromie vagamente psichedeliche, il tutto proiettato dietro la schiena del performer Richard H Kirk che, lontano dai Cabaret Voltaire che conoscevamo, si è esibito in modo essenziale e minimalista.

Da quest'anno tutto ciò che avveniva dopo mezzanotte si svolgeva al Serendipity spostato fuori città per evitare problemi di rumore.

E proprio lì, in mezzo ai capannoni industriali, tra gli artisti della nottata di venerdì spiccava il duo francese Syracuse, un uomo e una donna che ci hanno veramente trasportati lontano con le loro sequenze dal taglio prepotentemente analogico.

Il sabato 4 è stata una vera sorpresa: in un festival come il Dancity abbiamo visto molti strumenti acustici, alcuni dei quali certamente poco visibili normalmente in quel contesto.

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A partire dai francesi Cabaret Contemporain, una formazione che comprendeva batteria acustica, due contrabbassi, chitarra elettrica e sintetizzatore analogico Korg MS20. La loro ricerca sonora è riuscita ad annullare la relazione storica di alcuni strumenti puntando allo sviluppo di abbinamenti e fusioni con generi molto più consoni allo spirito di questo festival

Sempre a proposito di accostamenti poco "quotidiani" tra diverse forme d'arte ci siamo potuti innamorare degli italiani Dewey Dell. Una compagnia di danza che sta esplorando sempre di più i paesaggi sonori che realizzano alternando la loro vocazione naturale di ballerini con la produzione in tempo reale di tappeti ritmici costruiti in real time.
Due uomini e due donne si alternavano intorno al loro set, scambiandosi ruoli di ballerini e musicisti, realizzando anche fusioni tra i loro corpi e gli strumenti. Una delle ballerine spesso indossava guanti con sensori mediante i quali percuotere il proprio corpo per realizzare sequenze ritmiche (qualcuno forse ricorderà la Laurie Anderson di Home of the Brave) 

Molto rosa la notte di sabato dell'auditorium San Domenico perché dopo le due ballerine-performer è stata la volta di Caterina Barbieri. Musicista italiana di vocazione elettronica pura, molto minimalista, che fondeva e creava sequenze di suono puro affascinando tutti, anche col la sua femminilità, algida e distaccata.

Subito dopo un'altra donna, la statunitense Holly Herndon che ha creato sequenze ipnotiche a volte glitch, noise, con sprazzi di musica concreta, come si sarebbe chiamata un tempo Anche lei ha convinto tutti, in parte certamente anche con la simpatia attraverso la quale si è presentata, comunicando sul megaschermo alle sue spalle che era "fiera di potersi esibire nella città al centro del mondo". Su quello stesso schermo è passato per tutta la sua esibizione un enorme lavoro video parzialmente realizzato in real time dal video maker, anche lui sul palco con la Herndon.

Grande esperienza di sabato è stata il gruppo Underground Resistance Timeline.
Chiudendo gli occhi si poteva pensare, perlomeno all'inizio, di essere ad Umbria Jazz, musica funk, attraente, da muovere le gambe. Sax, assoli di synth, se poi aprivi gli occhi ti accorgevi che erano in quattro sulla scena, ma non c'era il basso elettrico, non esisteva una batteria ma era funk puro. Un funky che mano mano si trasformava e si evolveva in una techno assolutamente inaspettata, una sorta di Techno jazz che ha riempito completamente il cortile di Palazzo Trinci di ragazzi che hanno gioito e ballato fino a tutta l'esibizione.

L'ultimo elemento che ci piace recensire di questo festival è la meravigliosa città di Foligno, una città sempre più bella, sempre più viva, sempre di più un posto a misura umana, dove vivere, dove parlare per strada, fruire l'arte ed incontrare persone. 

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